di differente governabilità. L'artista compie operazioni che combinano (e qui mi riallaccio al gioco dei volti) miliardi di miliardi di esperienze contingenti con miliardi di miliardi di possibilità immaginative, sottoposte alla prova di miliardi di miliardi di varianti linguistiche proprie dell'espressione figurativa. Tutto questo ci porta ai limiti di una vertigine, ma una vertigine che ci apre la porta dell'atto creativo, che ci fa dono di un'immagine (che non sarà la sintesi di un mondo, come dicevo poco fa) che in quel momento ci si svela come l'unica vera. Un'immagine o invece (e qui mi permetto di ritornare un po' sul mio lavoro e sui disegni di cui avete visto proiettato qualche esempio) una frantumazione dell'immagine stessa, dove «l'infinita distesa dello spazio», ora aperto, ora delimitato dai lati di un tavolo, brulica di visioni polimorfe, di moltitudini di oggetti, di fogli, di colori e di matite, di virgole, di storie, di vite. Infine si potrebbe dire che forse le opere preesistono all'artista e ammettere che l'artista, in un attimo di illuminazione (e in una situazione di minore libertà di quanto si dica) trova un'opera che gli preesiste, che gli tocca di scoprire e così far passare un materiale già pronto attraverso la porta della coscienza. Concluderei dicendo che la ricerca della critica figurativa contemporanea invece di limitarsi a carezzare le immagini, dovrebbe provare a spellarle, a mostrarcene la seconda o la terza pelle, quando queste ci sono, non dimenticando che l'arte di inventare figure ha soprattutto l'incarico di farci vedere di più, di farci capire come vediamo e liberarci a poco a poco da una sorta di automatismo del vedere, dalla siepe dei luoghi comuni del vedere che ci fa spesso essere opachi e impreparati davanti alle figure dipinte. E inoltre l'arte figurativa dovrebbe aiutarci a conoscere il meccanismo del pensare per figure, un meccanismo che, come una sorta di film mentale tenuto 207
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