analitici. L'emergere dell'autoaffermazione individuale come parte del processo della costruzione di un impero è stata infatti osservata con frequenza; e le duplicità delle relazioni tra Europei e Indiani non sono una sorpresa. Al contrario non abbiamo molti elementi per analizzare il primo piano dell'aneddoto dell'incoronazione, dove accade qualche cosa di molto curioso: Smith dice la verità. Smith l'uomo che scriveva pubblicità per se stesso, secoli prima di Norman Mailer, l'ambizioso portavoce di un credo imperiale ancora intatto, descrive una scena in cui gli Inglesi e il loro rituale di incoronazione appaiono ridicoli. Certamente Powhatan appare sciocco, a conferma così dell'inferiorità dei nativi. Ma perché Smith rende ridicola anche la cerimonia dei bianchi? Perché, se le rimostranze e le manovre inglesi, per non parlare del lancio finale della corona sulla testa dell'indiano che non si china, hanno oggi l'aura dello sberleffo, anche allora l'effetto deve essere stato consimile. I lettori possono attribuire al testo metà o tre quarti del significato, ma non proprio tutto. Se leggendo questo passo ridiamo degli Inglesi, da qualche parte e in qualche misura Smith stesso sapeva che erano ridicoli. In linea con un modello di lettura dominante, le righe che descrivono gli Inglesi «che si appoggiano con forza sulle spalle di Powhatan» mentre tre uomini «mettono la corona sul suo capo» verrebbero prese come una frattura nel testo, come momento in cui Smith perde abbastanza controllo autoriale da lasciar udire una voce che fa resistenza. Ho pensato che questa spiegazione implica la propria domanda, essendo essenzialmente tautologica: perché in certi momenti altre voci risuonano nei testi dei conquistatori? Ci chiediamo. E rispondiamo: perché in certi momenti altre voci penetrano nei testi dei conquistatori. Ma messa in termini meno antropomorfici, i testi sono la scrittura di qualcuno. John Smith ha scritto parole che fanno resistenza così come ha scritto quelle conniventi. 212
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