avevano una lingua scritta e le culture orali sono particolarmente fragili. Poiché entro il primo secolo, forse entro i primi cinquant'anni di colonizzazione, la popolazione nativa fu ridotta del 50% con il contemporaneo sradicamento della memoria culturale e la perdita dei documenti, è essenzialmente impossibile oggi recuperare la storia dell'incontro attraverso fonti dirette. Questa mancanza di fonti dirette non è semplicemente un ostacolo; in effetti il risultato primario non è tanto di essere un ostacolo, quanto di essere la condizione che struttura la Storia che scriviamo. È la presenza più che l'assenza di fonti a essere problematica, poiché l'assenza di fonti indiane dirette inserisce nella riflessione critica sulle colonie precisamente quello squilibrio di potere che la riflessione tenta di analizzare senza riuscirvi. Proverbialmente le storie, sono storie dei vincitori. Dunque, come è possibile ora scrivere una storia di quella reciprocità se la sua negazione costituiva l'obiettivo principe delle Storie precedenti? Una strada, che ha in effetti portato a una riflessione critica di grande interesse, funziona in base ad un vecchio trucco accademico: quando non puoi risolvere il problema, scrivine. Una lista di lavori recenti come Conquest of America di Tzvetan Todorov; il saggio fondamentale di Stephen Greenblatt Learning to Curse e il suo nuovissimo libro Marvelous Possession; The Poetics ofImperialism, di Eric Cheyfitz, il testo di Larzer Ziff, anch'esso appena uscito, Writing in the NewNation e l'ormai classico Caribbean Encounters, di Peter Hulme, illustrano immediatamente la bontà del trucco di scrivere dei problemi dello scrivere. E il trucco è buono nella misura in cui illumina brillantemente le condizioni e i mezzi della cancellazione dell'altra parte del dialogo dell'incontro. Todorov descrive le manipolazioni del pensiero azteco 206
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