trance più lucida e più diabolica, definibile come trance scrittoria. La stessa ambiguità di tale stato costituisce la realtà del fenomeno. Sorpresa di un lettore avido. In uno studio di Jean Duvignaud consacrato a Existence et possession («Critique» n. 142) trovo, a proposito della possessione rituale, un'osservazione sulla teatralità di tali stati e quindi sul problema della simulazione che la trance pone agli osservatori. È un punto decisivo, mi pare, sul quale insistono in maniera particolare anche Leiris e Lapassade, in quanto artisti e, nello stesso tempo, etnografi: «... la simulation ne serait pas un état margina! entre le théatre et l'extase, le mensonge et la verité, mais un des éléments composants de l'état de possession». L'osservazione fatta a proposito della possessione rituale potrebbe estendersi alla terra di nessuno della trance scrittoria, così come di ogni altro tipo di trance (sciamanica, divinatoria, medianica, bioenergetica, psichedelica). Nello stato di trance in cui si scrive- e tutti gli scrittori di opere talvolta decisive scrivono in trance, dal momento che se il demone non prende il sopravvento, o un incubo non s'insinua, e il fantastico non diventa realtà, nessuna corrente, nessuna intensità passa su una pagina - ebbene, nello stato di trance scrittoria siamo al di là della menzogna e della verità, prossimi a strati percettivi, emozionali, cognitivi definibili come estatici: in una regione poco conosciuta, o perlomeno così pare alla comune percezione occidentale, in cui l'investigazione raramente si arrischia: Ma questa zona poco conosciuta, al di là della menzogna e della verità, non è forse la definizione stessa dell'atto letterario? Gianni De Martino 203
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