do di emanciparsi dalla struttura che intendeva contestare. Il giovane Sozzini viene agevlato nel lavoro della sostituzione dal fatto di avere consuetudine con gli strumenti della retorica, della grammatica e della critica letteraria cinquecentesca. Questa consuetudine riceverà proprio nel periodo di tempo che intercorre tra la prima e la seconda stesura dell'Explicatio (1563-1568) il suo maggiore potenziamento: basti pensare alla frequentazione dei testi di Lodovico Castelvetro che si faceva nell'accademia degli intronati a Siena (dove il Sozzini tornò per qualche tempo a vivere) e all'importanza che riveste nella formazione del carattere sozziniano l'addestramento alla semiologia aristotelica sotto la guida sicura di Marcantonio Piccolomini. Sarà bene seguire il processo di sostituzione dei frammenti residui della critica razionalistica al dogma trinitario con gli strumenti della lettura materialistica leliana mettendo a confronto le due redazioni del testo. Il compiacimento è uguale: il termine che ricorre all'inizio del prologo (Èv ÙQXfi) non proviene dal lessico speculativo e quindi non si riferisce all'eternità; riguarda semplicemente l'ordine di quelle cose che l'evangelista dirà intorno al messia nella storia che sta per essere raccontata (FEI 16, FEA 6). Lo svolgimento è differente. Nella redazione del 1562-63 il discorso sozziniano si presenta in modo estremamente compatto e si produce solo in una dichiarazione del rapporto d'imitazione istituito da Giovanni nei confronti dei due modelli letterari che aveva davanti. Il primo schema appartiene alla struttura veterotestamentaria: la storia dettagliata della creazione scandita dai nove dixit dopo la dichiarazione d'apertura: «Nel principio iddio creò i cieli e la terra» (Genesi 1,1). Il secondo modulo proviene dalla struttura neotestamentaria: la storia particolareggiata dell'attività creatrice del messia preceduta dal titolo: «Principio dell'evangelo di Gesù Cristo» (Marco 1,1). Giovanni imitò proprio Mosé e 47
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