no la sfasatura fra due tipi di sequenze: quelle di sinistra, captate dalla serie di destra, da cui si emancipano per liberazione; quelle di destra, che catturano e contengono il materiale sottoposto a liberazione. Tale dispositivo non è inedito: vi si riconosce senza difficoltà il modello del racconto à tiroirs, con le sue diverse tecniche di inscatolamento. L'innovazione di Droit de regards consisterebbe allora nell'infrangere la ridondanza fra il livello diegetico delle sequenze e l'ordine della loro apparizione: invece di esser presi fra due segmenti d'ordine superiore, i frammenti incastonati sono come sbloccati per il fatto di avere la prima e l'ultima parola del libro. Un'osservazione supplementare a livello dei personaggi va a sostegno di tale bipartizione: la continuità (seppur relativa) del racconto primario, che emerge con forza rispetto alla varietà delle enclaves. In effetti, se gli elementi della colonna di destra sono saldati dal mantenimento di un personaggio centrale di cui si seguono le deambulazioni, ciascuno degli inserti - salvo naturalmente l'ultimo - è centrato su nuovi personaggi. Eppure, una lettura più approfondita non può non far vacillare questa dicotomia, in fin dei conti rassicurante. Vi concorrono due operazioni. 1) Innanzitutto, al centro sdoppiato del volume, l'orientamento indecidibile di due serie presentate in montaggio parallelo. Rispetto al racconto primario, si vede emergere, e poi, circa venti pagine dopo, svanire, una serie articolata in modo ambivalente rispetto alle immagini a fronte: ciascuna delle due sequenze può contenere l'altra o esserne contenuta. Precisiamo. Da un lato, - quello del racconto che possiamo continuare a chiamare «primario» - una donna si china a raccogliere fotografie sparse per terra. Dall'altro, - quello della serie che entra in concorrenza con il racconto primario - un personaggio scrive, in spagnolo, - e non è necessario riconoscervi Borges per cogliere il senso delle parole che tematizzano l'essenziale della fiction che ci si accinge a percorrere: «duplicaci6n», 218
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