Il piccolo Hans - anno XVIII - n. 72 - inverno 1991-1992

pevole di tutto questo nel mio saggio mantengo l'uso del termine, mettendolo però tra virgolette. 13 Si veda ad esempio Wellers G., «I revisionisti sono ignoranti o in mala fede?», in Storia vissuta, Milano, Franco Angeli, 1988, pp. 329-347. 14 Cfr. Levi P., «Alla nostra generazione...», in Storia vissuta, cit., p. 113. Si veda anche La vita offesa. Storia e memoria dei Lager nazisti nei racconti di duecento sopravvissuti, a cura di A. Bravo e D. Jalla, prefazione di P. Levi, Milano, Franco Angeli, 1988. La testimonianza di Primo Levi è in parte registrata a p. 382. Occorre precisare che il film Shoah di Claude Lanzmann si muove su un terreno diverso da quello rappresentato dalle recenti raccolte di testimonianze italiane a cura dell'Aned. Si può leggere a questo proposito l'ampio e circonstanziato saggio di Shoshana Felman «In an Era of Testimony: Claude Lanzmann's Shoah», «Yale French Studies», n. 79, 1991: «Literature and the Ethical Question», pp. 39-81. Secondo la Felman, il film raccoglie le testimonianze di tre distinte categorie di persone: le vittime (gli ebrei sopravvissuti), i responsabili a vario titolo dell'Olocausto (gli ex-nazisti) e coloro che hanno testimoniato l'evento in qualità di spettatori (i polacchi). L'irriducibilità dei tre diversi punti di vista annulla secondo la Felman la possibilità di una comunità di testimoni. Questo viene evidenziato anche dalla molteplicità dei linguaggi usati dai diversi testimoni; linguaggi tra loro estranei e incapaci di abbracciare l'«Olocausto» che in quanto tale rimane «intraducibile». La possibilità di testimoniare ciò che rifiuta di essere compreso entro i parametri della conoscenza umana, viene recuperata nel film di Lanzmann attraverso l'arte, che valorizza al massimo la voce. La voce del testimone parla ben al di là delle parole pronunciate, e consente alla verità di manifestarsi attraverso la ripetizione di una «melodia» che rimane invisibile alla storia. Si veda anche: Felman Sh. - Laub D., Testimony: Crises o/Witnessing in Literature, Psichoanalysis, and History, New York, Routledge Press, 1992. 15 Levi P., I sommersi e i salvati, Torino, Einaudi, 1986, p. 64. 16 Coleridge S.T., The Rime o/ the Ancient Mariner, vv. 582-85, ed. it., Milano, Rizzali, 1985. Come è noto Levi cita questi versi anche in una sua poesia composta nel febbraio 1984 e intitolata «Il superstite» (v. Opere II, Torino, Einaudi, 1988, cit., p. 581). 17 Levi P., <iAlla nostra generazione...», cit., p. 13. 18 Vedi nota 16. 19 Dante, Inferno, XXXIII, 141; questo verso è citato direttamente nella poesia di Levi. 20 Levi P., «Il superstite», cit. 21 Ibidem. Su tutta questa problematica rimane fondamentale il saggio di Bettelheim B., «Sopravvivere», ora in Sopravvivere, cit., pp. 196-231. La citazione dell'episodio dantesco da parte di Primo Levi non è casuale, e getta una luce inquietante sulla poesia «Il superstite». La citazione si riferisce infatti all'incontro di Dante con frate Alberigo nel IX Cerchio dell'Inferno, nella zona in cui piombano le anime dei traditori immediatamente dopo aver commesso la loro colpa, anche se i loro corpi non sono ancora morti. 207

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