NOTE 1 Cfr. Vattimo G., Tramonto del soggetto e problema della testimonianza, «Archivio di Filosofia», 1972, n. 1-2, p. 127. 2 Ivi, p. 135. 3 Da questo punto di vista il «vero senso della svolta ontologica del pensiero heideggeriano successivo a Sein und Zeit è il riconoscimento dell'insufficienza della nozione borghese-cristiana di soggetto a interpretare l'esperienza storica dell'uomo odierno» (Ivi, pp. 134-135). Nel momento in cui la nozione di testimonianza afferma il nesso tra persona e verità essa si può avvicinare al concetto heideggeriano di autenticit� che è presente in Sein und Zeit, ma scompare negli scritti posteriori. E noto che per Heidegger è autentico ciò che è proprio di un'esistenza; mentre la morte, che è la possibilità più propria di ciascuno, fonda l'esistenza in quanto essere per la morte. A questo si contrappone la nozione di «inautentico». L'esistenza inautentica è il Si (Man), impersonale e anonimo del «si dice», in cui l'esistenza si disperde nella quotidianità. Su questo punto si veda MartinHeidegger, Essere e tempo, Milano, Longanesi, 1976. Si veda in particolare il cap. IV. 4 Prima ancora che sul piano filosofico, il nesso verità-persona era già stato messo in crisi dalla psicologia, che già all'inizio del nostro secolo aveva accertato in via sperimentale che non esistono testimonianze di cui si possa dire che sono interamente veritiere. Questo per la semplice ragione per cui ciascun fatto di cui si viene a conoscenza viene visto in maniera diversa da ciascuna persona. Per lo psicologo dunque non esiste una realtà oggettiva esente dagli aspetti dovuti alla personalità del testimone. Si veda a questo proposito Musatti C.L., Elementi di Psicologia della testimonianza, Milano, Rizzali, 1991. 5 Cfr. Lévinas E., Vérité du dévoilement et vérité du témoignage, «Archivio di Filosofia», 1972, n. 1-2, p. 107. 6 Ivi, p. 106. 7 Ibidem. 8 Ivi, p. 108. 9 Ivi, p. 110. 10 Vattimo G., op. cit., p. 139. 11 Cfr. Lévinas E., Totalità e Infinito. Saggio sull'esteriorità, Milano, Jaca Book, 1990, p. 182; e Rovatti P.A., Soggetto e alterità, «Aut-Aut», n. 242 (marzo-aprile 1991). 12 L'olocausto, per definizione, è un «sacrificio in cui la vittima veniva interamente arsa [...] Con l'uso del termine "olocausto" si creano dunque, attraverso le sue connotazioni consce e inconsce, associazioni del tutto false tra il più perverso assassinio di massa e antichi rituali di natura profondamente religiosa». Bettelheim B., «L'olocausto una generazione dopo», in Sopravvivere, Milano, Feltrinelli, 1988, p. 92. Va tuttavia riconosciuto che il termine «olocausto» si è imposto nell'uso critico e storiografico soprattutto come espressione tecnica, al di là del suo significato letterale, tanto che lo stesso Bettelheim ne fa ampiamente uso. Consa206
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