trae. Esistono remissioni, «tregue», come nella vita del campo l'inquieto riposo notturno; e la stessa vita umana è una tregua, una proroga; ma sono intervalli brevi, e presto interrotti dal «comando dell'alba» temuto, ma non inatteso, dalla voce straniera [... ] che pure tutti intendono e obbediscono. Questa voce comanda, anzi invita, alla morte, ed è sommessa, perché la morte è inscritta nella vita, è implicita nel destino umano, inevitabile, irresistibile; allo stesso modo nessuno avrebbe potuto pensare di opporsi al comando del risveglio, nelle gelide albe di Auschwitz24 . La nuova consapevolezza, con cui questa visione della storia come «Olocausto» si esprime ne I sommersi e i salvati, appare caratterizzata da giudizi morali molto più sfumati rispetto alle opere dell'immediato dopoguerra, e da una nuova valutazione della cosiddetta «zona grigia», che era già descritta in termini narrativi in Se questo è un uomo. La «zona grigia» diventa il simbolo delle difficoltà interpretative del testimone. È proprio nel capitolo intitolato «La zona grigia» che Primo Levi scrive tra l'altro: L'ingresso in Lager era invece un urto per la sorpresa che portava con sé. Il mondo in cui ci si sentiva precipitati era sì terribile, ma anche indecifrabile: non era conforme ad alcun modello, il nemico era intorno ma anche dentro, il «noi» perdeva i suoi confini, i contendenti non erano due, non si distingueva una frontiera ma molte e confuse, forse innumerevoli, una fra ciascuno e ciascuno25 . Nella conquista di questo punto di vista problematico, le parole di Primo Levi finiscono, in un certo senso, per incontrarsi con il silenzio di coloro che di fronte al carattere «non umano», incredibile e indicibile dell'«Olocausto», hanno scelto di tacere26 . In questa prospettiva sem201
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