re. Inoltre la mamma non era fra le donne che aspettavano i mariti: era con lui, occupata a salire e scendere la scala. Gli spiegai il significato simbolico del salire la scala, e lui non replicò: immediatamente dopo si mise a raccontarmi una quantità di storie di poliziotti che aveva imparato da Monia, così erudito in materia: Sherlock Holmes, Arsenio Lupin, Pinkerton; mi parlò della profonda impressione che questi racconti gli avevano fatto, e dei rimproveri che essi erano valsi a Monia da parte della sua mamma; e Monia aveva ritagliato delle maschere di velluto per loro due, come portano i banditi in una di queste storie. Il giorno dopo, la madre mi riferì che il bambino era stato nervoso tutta la giornata, e che si lamentava di me, dicendo che volevo fargli credere che lui voleva ammazzare suo padre, o desiderava che andasse a farsi ammazzare. Aggiungeva con energia: «Nessuno mi farà credere che io abbia dei pensieri simili» (cosa che disse davanti a me). Lui stesso tirava dunque le conclusioni che io non avevo fatto che evocare. Mano a mano che la cura si stava svolgendo, come ho già detto, facevano la loro comparsa senza interruzioni dei nuovi rituali ossessivi: essi venivano a sostituire quelli più antichi, che erano ormai scomparsi. Non so se costituissero dei sintomi transitori comparsi per proprio conto, o delle semplici riproduzioni; comunque, essi erano altamente significativi dello stadio corrispondente della cura. Progressivamente si semplificarono sempre di più, e va detto che la loro complessità non è stata mai altro che apparente, e potevano venire facilmente tutti ricondotti ad una certa unità. Il punto di partenza era la trasgressione di una proibizione (uscire dalla finestra invece di uscire dalla porta [il dr. Geza Roheimmi segnala che nel folklore questo atto, come quello di scavalcare il corpo di qualcuno, costituisce un diffuso simbolo dell'atto sessuale] e, in un ultima istanza, la masturbazione). 241
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