mero di calcoli. In entrambi i casi lo studente si rende conto che le formule già conosciute non servono in quanto inadatte a risolvere il problema, ma si può arrivare alla soluzione nello stesso modo ricorrente che è stato usato, ad esempio, per conoscere (a + b)3 = (a + b)2 (a + b) o per conoscere (a + b + c)2 = (a + b + c) (a + b + c). Ritengono insomma che (a + b + c)3 si comporti come una qualunque altra potenza di binomio già nota, per la quale, svolgendo determinati calcoli, sarà possibile ricavare una formula. Gli studenti che hanno scelto la terza via invece non hanno potuto riconoscere che le formule già note erano inservibili perché nella loro mente una formula non rappresenta l'abbreviazione di un procedimento lungo, ripetitivo e faticoso, del quale costituisce il risultato finale, utile in quanto «economico», ma la formula e il prodotto · notevole sono la stessa cosa. Quindi hanno ritenuto che nella espressione (a + b + c)3 si potesse prendere la formula da loro conosciuta per il quadrato di un trinomio: (a + b + c)2 = a2 + b2 + c2 + 2ab + 2ac + 2bc e sostituire semplicemente il valore 2 con il valore 3. Richiesti di una spiegazione sul perché del loro operare non sono in grado di fornire alcuna spiegazione se non la frase: «Ho creduto che si potesse fare così... mettere al posto del 2 il 3». Oppure più semplicemente: «Ho pensato che si dovesse fare così!». I procedimenti matematici, nella loro fantasia, non hanno un significato intrinseco ma seguono leggi di «sequenzialità» e «continuità», cioè regole percettive. Se si domanda loro come si può fare per decidere se l'espressione da loro scritta sia vera o falsa, sembrano non avere alcuna idea di procedimenti semplicissimi che permetterebbero di appurare rapidamente quanto richiesto. Questa incapacità a fornire «procedimenti» che permettano di decidere se un'uguaglianza algebrica sia vera o falsa dipende dal fatto che lo studente considera la for55
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