Forse già in queste poche righe descrittive si possono intuire alcuni dei motivi che potrebbero essere all'origine dei disagi sperimentati da alcuni soggetti. In primo luogo si può percepire che il distacco dalla realtà fisica, sensibile, che fu sempre condizione sostanziale del pensiero matematico - basti pensare al precetto pascaliano «sostituire sempre mentalmente la definizione alla cosa definita», precetto d'altronde già presente in Aristotele, si è accentuato nella matematica dell'ultimo secolo. La storia dellamatematica (si veda a titolo illustrativo Eléments d 'histoire des mathématiques di Nicolas Bourbaki, 1969) mette in evidenza questa progressiva e consistente alleanza tra metodo assiomatico, formalismo linguistico e logica nella matematica contemporanea. È d'altronde noto che il pensiero in gestazione del matematico (non dell'utente comune), non ubbidisce linearmente a questi precetti metodologici generali, che acquistano invece tutta la loro preminenza in sede di dimostrazione e di comunicazione. Tali precetti arrivano invece all'utente, seppure in versioni che di volta in volta vengono adeguate ai livelli di apprendimento. I resoconti, più o meno romanzati, dell'attività creativa di molti matematici (da Poincaré a Kac o a Hardy) offrono un dilettevole e utile materiale dimostrativo di questa asserzione. In secondo luogo è abbastanza evidente, anche se scarsamente riconosciuto, il divorzio tra matematica e psicologia. Fanno infatti eccezione quei matematici o quei logici che si sono interrogati circa il rapporto esistente tra i metodi di pensiero in sede di dimostrazione o validazione matematico-logica e i processi di pensiero dell'uomo comune alle prese con la soluzione di un problema. L'aspetto forse più interessante e valido della ricerca di Philip Johnson-Laird nel campo della psicologia cognitiva (cfr., Menta! Models, 1983) è, per l'appunto, la dimostrazione della differenza di procedura tra il pensiero comune (problem solving) e quello logico-matematico. 37
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