padre artigiano. E la questione della tecnica e della sua trasmissione, che abbiamo visto tratteggiata nella storia dei Vezzi di Venezia, articola i legami tra le une e le altre. La favola è un mercanteggiamento della credenza. Si offre una favola perché si possa non crederci e gli elementi comuni alle proprie esperienze e alle proprie costruzioni che il bambino vi ritrova dovrebbero indurlo a cedere sull'intangibilità delle credenze. Gli animali, le barriere da superare e, vedremo in particolare, il meccanismo, sostituiscono pubblicizzandolo il segreto della costruzione del luogo della fobia. Alcune fiabe, per esempio quelle di Grimm, tendono a ripresentare la stessa paura, l'orrore, gli elementi del piccolo, quasi trasferendoli da questa importantissima struttura psichica, che, riproducendo all'esterno caratteristiche, di contiguità e di spazialità particolari, dell'apparato psichico, diventano di questo una prima rappresentazione esterna. La fiaba, attraverso l'elemento dello stupore e della paura tende a scavalcare queste conquiste inducendo una regressione all'angoscia e agli interrogativi che le precedono. Oppure, pensiamo ad alcuni elementi magici e appartenenti alla «bellezza» delle fiabe di Andersen, a spingere il bambino in avanti, dal momento di una conquista teorica verso i primi «aggiustamenti» di un pensiero che Freud chiamò di tipo filosofico e che consistono nel predisporre alle costruzioni di difesa e allo sviluppo della nevrosi. «Il fapipì crescerà» dell'Hans di Freud, che dal momento dell'acquisizione teorica della differenza tra animato e inanimato passa a sistemarsi un futuro rassicurante, è paragonabile all'attesa che nella fiaba suscita il possibile compiersi di un prodigio. Un certo «moralismo» della fiaba apre all'esercizio delle potenze psichiche, pietà, compassione, rispetto, pudore. I movimenti indotti dalle fiabe possono essere dunque due: o all'indietro, con l'eliminazione delle acquisizioni del luogo della fobia e il ritorno all'angoscia, o in avanti 23
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