La voce dell'attore: tecnica e presenza Gli attori europei, non solo quelli «sperimentali» ma anche i grandi esponenti della tradizione maggioritaria del nostro teatro, amano concepire la loro voce come uno strumento musicale, ne vantano la potenza e la duttilità, ne parlano come di una cosa servizievole ma autonoma. Alcuni preferiscono dire di saperla proiettare fino al loggione senza sforzo (Valeria Moriconi); altri di possedere con essa un'orchestra intera (Glauco Mauri); o uno speciale strumento musicale il quale si differenzia profondamente dal normale mezzo di comunicazione di cui tutti disponiamo anche perché necessita dell'amplificazione per esprimersi appieno, o meglio la incorpora come suo medium essenziale (Carmelo Bene). Tutti sostengono in sostanza di poterne fare quel che vogliono, e in particolare di potere incantare con essa il loro pubblico. Altre volte, quando il discorso viene dall'esterno, le metafore sono meno banali ma più kitsch: allora è il timbro di un attore che viene paragonato al velluto o allo champagne. Sempre però si tratta del fondamento di un professionismo, del modo di essere specifico dell'attore. Saper dire, più che essere capaci di fingere di imitare e di rappresentare, sembra spesso il bagaglio professionale 145
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==