Il piccolo Hans - anno XVIII - n. 70 - estate 1991

se per la prima volta nella storia della letteratura, quello che è il luogo più nudo del Soggetto: quel luogo non abitato né dalleleggi né dallevirtù (teologali, s'intende) e nemmeno dalla memoria cosciente (abitato, semmai, dalla dimenticanza), entro il quale si profilano, come su uno schermo, le... pulsioni e i loro destini. Ma a questo punto il discorso ci porterebbe troppo lontano dal nostro proposito (e dal nostro modello), anche se è da lì, probabilmente, che dovrebbe partire l'inchiesta per l'accertamento della verità sul caso Svevo. Per ora, basti dire che di tale parola vengono fornite, sempre nella Coscienza, pertinentissime puntualizzazioni, come, ad esempio, la seguente, ove è fatto esplicito riferimento alla parola destituita di enunciatore, alla parola come evento letteralmente assoluto, e cioè sciolto da ogni radice (p. 727): [...] come aprivo la bocca svisavo cose o persone perché altrimenti mi sarebbe sembrato inutile di parlare. Senz'essere un oratore, avevo la malattia della parola. La parola doveva essere un avvenimento a sé per me e perciò non poteva essere imprigionata da nessun altro avvenimento. Ed è per questo che la stessa, identica parola potrà costruire il monstrum di una realtà vera e falsa simultaneamente, installata nella figura del mondo, che ne sarà perciò scossa sin dalle fondamenta. Con questa conseguenza: che l'effetto sostanzialmente tragico di tale parola, per le difese culturali del Soggetto impossibilitato a recepirla, si capovolgerà in effetto comico. Il riso, in Svevo, risulta insomma nient'altro che un dispositivo di difesa dal tragico di una parola radicalmente derealizzata. Si vedano, per gli effetti (stravolti) del comico, tutte le precedenti citazioni, mentre, per un'ulteriore, sempre pertinentissi143

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