te è bastevole ad occupare tutto un intelletto». E così via per l'intero paragrafo. Ma l'inizio del successivo recita: «Di questo pensiero Emilio lungamente visse», ecc. Si dà un solo luogo (salvo errore) in cui si manifesti la presenza - di solito, invece, sempre occultata e «silenziosa» - dell'istanza della voce narrativa: ed è un luogo che fuoresce dal testo come un'acutissima, splendida dissonanza rispetto all'estromissione plenaria di questa voce. È nel finaledel cap. XIII, e riguarda il rantolo di Amalia moribonda, ove la riflessione generale sulla corporalità invasa dalla morte ricorderà al lettore il grande finale del Jean Santeuil, ove i rumori del sonno del vecchio Santeuil sono collegati, dalla voce narrativa, al pulsare più profondo della vita in quanto sottratta alla coscienza. Ecco, per la verifica di un'eccezione che conferma la regola, il mirabile brano di diversa tessitura: Ben presto al respiro s'unì il rantolo, un suono che pareva un lamento, proprio il lamento di quella persona dolce che moriva. Pareva risultato da una desolazione mite; pareva voluto, un'umile protesta. Era infatti il lamento della materia che, già abbandonata, disorganizzandosi, emette i suoni appresi nel lungo dolore cosciente. La parola autodialogante del monologo sveviano attesta perciò di un doppio débrayage (di due luoghi, o processi, di disgiunzione), di cui uno è la conseguenza dell'altro: un débrayage rispetto all'istanza enunciativa di base, che risulta barrata e al posto della quale si installa la zona d'ascolto; e un débrayage che concerne i due Soggetti di sapere (Osservatore e Informatore) compresenti nellaparola del monologo, i quali risultano depositari non solo di un sapere diffratto, eterogeneo e plurale, ma addirittura di un «sapere» contraddittorio, equivoco e magari falso. In altri termini: la parola del monologo ha su140
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