Il piccolo Hans - anno XVIII - n. 70 - estate 1991

tegorie di realtà, nello spazio di un'altra scena: quella del Reale (il termine, giova appena avvertire, si intende nel valore che gli ha assegnato Lacan, ed è perciò da considerare in opposizione al termine «realtà», che è infatti da intendere come l'insieme degli ordini - concettuali e assiologici - che determinano la figura del mondo): la scena dunque del Reale in quanto eccedenza e impossibilità, e, per ciò stesso, in quanto luogo di un sapere senza fondamenti. Fin qui, ampiamente corredati dagli esempi, i risultati della nostra ricerca sull'enunciazione nella sua applicazione a Manzoni. Ora, una ricerca recente sul romanzo italiano dell'Otto e Novecento, destinata a un editore francese, mi ha permesso di introdurre, attraverso un dispositivo di precisi raffronti fra le maggiori opere narrative dei due secoli, delle precisazioni ulteriori, non solo sull'enunciazione derealizzante di Manzoni, ma altresì su quelle, inerenti alla stessa tipologia, di altri autori. Propongo quindi alcuni dei risultati (non tutti) emersi da questo supplemento di indagine. La posizione derealizzante del Soggetto enunciante che caratterizza il romanzo di Manzoni e che qualifica il testo del racconto come testo plurale, eterogeneo, polifonico, a-teleologico (e addirittura a-teologico), tale posizione, se investe altresì i contenuti portati dalla voce narrativa vera e propria, non ne investe però la tipologia di discorso. Nelle due figure semiotiche secondo le quali l'abbiamo distinta nel primo dei nostri lavori, quella del Narratore cognitivo (responsabile delle riflessioni generali, della formulazione delle massime, della stipulazione dei paragoni, ecc.) e quella del Narratoremeta-discorsivo (responsabile degli interventi sulla costruzione stessa del récit, delle allocuzioni al lettore e magari ai personaggi della «fabula», o delle auto-allocuzioni, ecc.), figure cumulabili nella figura del Narratore extra-diegetico, in entrambe 128

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