proposito, al Descartes della pars destruens del Discours de la méthode, ove all'unità del «magnifique et mémorable Moi» (per riprendere la definizione di Valéry) si contrappone la tabula rasa dell'Informatore, e cioè delle conoscenze e dei saperi acquisiti su cui poggiava l'ordine del mondo. Per quanto riguarda Manzoni, la posizione derealizzante del Soggetto enunciante è certificabile, appunto, dalla disgiunzione, rispetto allo stesso, dei due Soggetti di sapere, l'Osservatore e l'Informatore. Per l'Informatore (ricavo alcuni esempi dai due lavori citati), basti pensare al cardinal Borromeo, figura luminosa del positivo nel romanzo, e figura storica, di cui è sottolineata con straordinaria evidenza l'eterogeneità e la contraddizione che lo costituiscono là dove il Narratore extra-diegetico, sull'appoggio di documento autografo, rivela la di lui credenza negli untori. O si pensi anche a quell'Informatore per eccellenza che è la Storia (proprio con la S maiuscola) di cui, nel romanzo, non solo si segnalano continuamente sia le inadempienze sia le invenzioni («qui la storia è costretta a indovinare. Fortuna che c'è avvezza»), ma di cui altresì si tassa negativamente e in generale la figura (anche attraverso gli interventi dell'ironia), figura che viene incessantemente giocata sul piano della finzione mentre questa (ironicamente, appunto) viene elevata al rango di Storia (per le esemplificazioni specifiche rimando sempre ai due lavori citati). E reperti affini fornisce quell'Informatore trascendente che è la Provvidenza divina, la quale non figura mai nella bocca del Narratore - che dovrebbe essere depositario di un sapere che coincide, almeno parzialmente, con quello del Soggetto - ma solo nella bocca degli attori, soprattutto in quella, destituita di autorità, dei due protagonisti, oppure di don Abbondio, che finisce per omologarla, alla fine del romanzo, alla «scopa» della peste, la quale, spazzando via tutto, ha spazzato via anche i cat124
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