Il piccolo Hans - anno XVIII - n. 70 - estate 1991

sur l'eau m'eut fait crier: "zut alors"! »). Ed ecco la pagina del Contre Sainte-Beuve, che ha una sua data (1909), ma che una nota ricollega al «coté» di Méséglise, a Bergotte o alla conclusione della Recherche. Le belle cose che scriveremo, se ne abbiamo il dono, sono in noi indistinte, come il ricordo di un'aria che ci incanti senza che riusciamo a ritrovarne il tracciato, a canticchiarla, e nemmeno a darne un disegno quantitativo, a dire se ci sono pause o serie di note rapide. Coloro che sono ossessionati da questo ricordo confuso di verità che non hanno mai conosciute sono uomini intellettualmente dotati. Ma, se si appagano di dire che odono un'aria deliziosa, essi nulla indicano agli altri, non hanno talento. Il talento è come una sorta di memoria capace di permettere loro di finire col ravvicinare a sé quella musica indistinta, di sentirla con chiarezza, di annotarla, di riprodurla, di cantarla. Giunge un'età in cui il talento s'indebolisce insieme con la memoria, e in cui il muscolo mentale che accosta i ricordi esterni e quelli interni non ha più forza [...]. I due testi che ho appena citato s'incontrano in modo complementarmente felice nel suggerire qualcosa di importante sulla questione del «génie», come si era cercato di inquadrarlo un po' più sopra, in questo discorso. Essi coniugano un dato economico, il «residuo», e un dato simbolico, «le souvenir d'un air», la «musique confuse», che si tratta di articolare nella scrittura facendo ricorso appunto a quel «residuo» o lingua altra. Alcuni tasselli sono andati a posto e un disegno si abbozza a dare giustificazione, non si dirà risposta, alle domande con le quali avevo aperto la mia nota. Non penso che quanto si è cercato di avanzare qui resti nei limiti di una ricerca sulla natura del genio letterario, di cui Proust rileva il carattere autosufficiente («le 117

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