alla vera produzione dell'opera d'arte e insieme l'energia per sviluppare ed effettuare tale capacità». In effetti essi[genio e talento] non sono immediatamente identici, sebbene la loro identità sia necessaria alla perfetta creazione artistica. Infatti l'arte, nella misura in cui in generale individualizza e deve dare reale apparenza ai suoi prodotti, richiede per i generi particolari di questa realizzazione differenti capacità particolari. Una di queste può essere indicata come talento[... ] Ma un semplice talento può soltanto portare alla bravura in un settore del tutto singolo dell'arte[...] Un talento senza genio non oltrepassa quindi i limiti dell'abilità esterna [...] È proprio del genio, in quanto in sé abbraccia anche questo lato della naturalità, anche la facilità della produzione interna e dell'abilità tecnica esterna in rapporto a determinate arti[...] Questa dote di dar forma egli [l'artista] la possiede non solo come rappresentazione teoretica, immaginazione e sentimento, ma altrettanto immediatamente come sentimento pratico, cioè come dote di saper realmente eseguire [. . . ]. Si può cercare di spostare un poco la trascrizione dei distinguo hegeliani: per cui il possesso di un talento appaia la capacità di sapersi districare con le cose, in un rapporto di esecuzione pratica - sicché chi agisce sia esso stesso una cosa operante secondo abilità e attitudine: qualcosa, alla fine, che chiami in causa un virtuosismo specifico dentro confini precisi. È ciò a cui il giovane Marcel manca, o crede di mancare, quando, alla ricerca di soggetti per il suo esercizio di scrittore, si trova fronteggiato dal «vuoto», dal «trou noir», che non è che l'altro nome della inettitudine a «funzionare come cosa», come macchina delimitata nel sistema della letteratura. 110
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