di linguaggio che darà sfogo al giubilo del neoautore: «comme si j'avais été moi-meme une poule et si je venais de pondre un oeuf, je me mis à chanter à tue-tete». Ecco pertanto somministrato al lettore della Recherche il referente diegetico - cioè relativo alla storia raccontata - centrale, quello su cui si ordinano tutti gli altri. Ma il buon lettore proustiano è colui che non smette di esercitare un sospetto metodico, che gli permette di aprire continuamente l'ambiguità o si dica meglio la pluralità del testo. Il ragazzo Marcel si confessa privo di talenti, di attitudini adeguate al sogno di diventare un «grande scrittore». Ma che significato bisogna attribuire all'espressione, del resto corrente, «privo di talento»? Equivale all'altra, quasi simile: essere privo di «talenti»? Ho segnalato che il testo proustiano usa più volentieri, nei brani esemplati, il termine «géhie», genio. Non è lecito supporre che nell'economia lessicale, e dunque anche epistemica, della Recherche questi termini siano usati indifferentemente, quasi sinonimi. È un punto su cui appare inevitabile interrogarsi. D'altra parte Marcel si proietta come figura «priva di talento» solo per una sorta di accentuazione polemica rispetto all'ideale dell'Io. Sulla soglia del romanzo, egli è un adolescente «senza qualità», proprio secondo l'eco di quel titolo famoso, qualcuno cioè intorno al quale ruotano piuttosto possibilità che attitudini, e che finisce neutralizzato in tale vortice - se si vuole, un perverso polimorfo, nell'ordine di una scelta di destino. La strutt�ra stessa della domanda, con cui ho cominciato: che cosa è Marcel?, comincia a orientare il carattere di una risposta. Lo Hegel dell'Estetica distingue, in qualche pagina, fra talento e genio (entrambe «attività produttive della fantasia»), assegnando a quest'ultimo la «capacità generale 109
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