Il piccolo Hans - anno XVII - n. 69 - primavera 1991

co si apriva tra romanzo familiare e nevrosi, giacché, nota di sfuggita Freud, «Molte persone che non sono diventate nevrotiche rammentano assai spesso simili occasioni». Oggi, dopo la nostra formulazione di un luogo della fobia, a partire dal caso di Hans, l'interrogarsi su questo romanzo nelle prossimità di questo luogo, dove il bambino all'età di quattro anni si struttura definendo per la prima volta la propria collocazione rispetto al godimento paterno e alla generazione, e per far questo si misura con l'animato e l'inanimato e la risposta ne è il radicarsi delle teorie sessuali infantili (il pene alla madre, l'ano da cui nascono i bambini), curiosamente rende indiscutibile l'esistenza del figlio solo se messa in rapporto al padre, ma sotto l'egida già delle primissime parole con cui ha inizio il romanzo storico di Freud, quel L'uomo Mosè e la religione monoteistica la cui stesura, ora del romanzo Freud diventa l'autore, occupò gli ultimi cinque anni della sua vita: «Non è impresa né gradevole né facile privare un popolo dell'uomo che esso celebra come il più grande dei suoi figli: tanto più quando si appartiene a quel popolo». Qui di questo così grande liberatore, fondatore, legislatore del popolo ebreo è mantenuto lo stato di figlio perché ancora meno facile è privarsi del proprio padre. Ma a:nche perché in L'uomo Mosè e la religione monoteistica possa apparire quasi all'insaputa di Freud e fuori dalla cortina da lui sparsa delle fantasie nevrotiche, un romanzo familiare che si ancori però nella storia. Un romanzo storico. Un romanzo storico inizia dunque col dirci che un soggetto è un figlio, ma sottrae contemporaneamente questo figlio, come fa del resto il romanzo ai suoi esordi, a quello che dovrebbe essere il suo contesto naturale. Si tratta infatti di riconoscere un Mosè egizio, e, dopo aver tolto a Mosè i suoi genitori ebrei, di fornire un padre a sua volta straniero per il popolo ebraico. Ma il romanzo faSO

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==