ne di grande interesse), ma sembra indicare inmodomolto evidente ed esplicito che, prima del divieto, debbano essere esistite esperienze tattili significative e, se distorte, fonte di gravi traumatismi. Il problema del tatto assume cioè, nella sua impostazione teorica, grande rilievo. Come dobbiamo pertanto considerare l'opera di Anzieu? Si tratta di un autore che con le sue considerazioni rischia di mettere in discussione le opinioni radicali e fondamentali di Lacan o, al contrario, di un autore che, consapevole del valore di Lacan e, tutto sommato, all'interno della sua orbita culturale, smorza la radicalità del suo pensiero e lo flette alle esigenze della clinica? Il problema ci appare, come abbiamo varie volte detto, di particolare importanza nell'attuale momento storico. Per lo sviluppo della psicoanalisi, è più opportuno il mantenimento di una radicalità del suo pensiero eversivo o più utile, e scientificamente più valida, la flessione di questa radicalità? Il problema posto potrebbe essere evitato tramite un artificio: potremmo cioè sostenere che la posizione psicoanalitica radicale è possibile solo nei riguardi di quei trattamenti in cui esiste un'indicazione di psicoanalisi. Laddove Anzieu lavora secondo la sua impostazione, egli potrebbe essere considerato come al di fuori del quadro psicoanalitico; si tratterebbe cioè di tecniche psicoterapeutiche di impronta psicoanalitica. Ma si tratterebbe di un artificio, in quanto Anzieu considera la sua teoria e il suo metodo come assolutamente all'interno dell'impostazione psicoanalitica: A noi sembra che la radicalità dell'impostazione lacaniana non possa che vedersi sullo sfondo di relazioni precoci sufficientemente buone. Ci sembra cioè che l'uomo possa essere preso dalla trama dei significanti linguistici, possa essere considerato come non circondato da un «enveloppe» protettivo solo se questo esiste, magari ai limiti della possibilità di essere percepito, a un altro livel234
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