Ma voglio farLe una confessione che Lei sarà così buono, per riguardo a me, di tenere per Sé e di non comunicare né ad amici né ad estranei. Mi sono posto spesso in modo tormentoso la domanda perché mai in tutti questi anni non ho mai tentato di entrare in relazione con Lei e di intrattenere con Lei un colloquio (...). La risposta a questa domanda contiene una confessione che a me sembra troppo intima. Pens.o di averLa evitata per una specie di «timore del sosia». Non perché io sia facilmente incline a identificarmi con qualcun altro, o perché volessi nascondere a me stesso la differenza di talento che mi separa da Lei, ma sempre, quando mi sono abbandonato alle Sue belle creazioni, ho creduto di trovare dietro la loro parvenza poetica gli stessi presupposti, interessi e risultati che conoscevo come miei propri. Il Suo determinismo come il Suo scetticismo - che la gente chiama pessimismo - la Sua penetrazione nelle verità dell'inconscio, nella natura istintiva dell'uomo, la Sua demolizione delle certezze convenzionali della civiltà, l'adesione dei suoi pensieri alla polarità di amore e morte, tutto ciò ha destato in me uno strano sentimento di familiarità (unheimlichen Vertrautheit).1 Così, un autore noto e affermato, che ha prodotto gran parte della sua opera, scrive a un altro, anch'esso ben conosciuto, per dirgli una cosa elementare (che, pure, solo raramente è fatta notare: «pudore» d'autore che può essere gravido di svariate altre cose). Freud scrive a Schnitzler per informarlo del tempo occorsogli per rivolgersi a lui - per metterlo a parte, insomma, di un indugio -, per significargli la ragione principale di un non-incontro, il senso di un evitamento, per fargli sapere ciò che sa da lungo tempo e da cui ha potuto trarre un certo vantaggio. (Questa lettera a Schnitzler può essere letta come un seguito al testo di Freud del 1919 sull' Unheimliche che si riferisce particolarmente alla «finzione letteraria», l'at204
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