Myth», del 1955, successivamente completato e modificato per la pubblicazione nella Antropologia Strutturale, come il momento di sistematizzazione delle riflessioni sul mito; ad esso seguiranno nel tempo i quattro volumi di Mythologiques, che dovrebbero dar testimonianza della fondatezza dei principi generali. Il problema che pone il pensiero mitologico, dice l'autore, è quello di ampliare le basi della nostra logica per accogliere quelle operazioni mentali che, anche se apparentemente diverse da quelle studiate dalla logica «classica», sono tuttavia intellettuali «a pieno diritto». Ma non di una psicologia qualunque ha bisogno l'etnografia per superare l'impasse dei fondatori: Tylor, Frazer, Durkheim. Una psicologia che cercasse di legare un senso a un elemento qualsiasi di un mito in una relazione biunivoca, non farebbe altro che assumere su di sé l'ipoteca che paralizzò i «primi filosofi del linguaggio», tesi a scoprire quale «necessità interna univa un senso a un suono». È notoria la sterilità storica di una tale indagine e il valore perciò fondante del Corso di de Saussure. L'annoso problema della versione autentica del mito viene risolta con un altro postulato metodologico fondamentale: ogni mito è l'insieme di tutte le sue versioni. Da questo punto di vista, l'interpretazione freudiana del mito di Edipo, che Lévi-Strauss considera un punto d'appoggio della sua, è una fonte, una versione del mito. ij quindi, sia geneticamente (versioni successive) che formalmente (trasformazione di un mito in un altro attraverso una procedura d'inversione simmetrica), è possibile creare un modello di trasformazioni. Nella chiusa del suo lavoro Lévi-Strauss scrive: «La logica del pensiero mitico ci è sembrata altrettanto esigente che quella sulla quale riposa il pensiero positivo e, in fondo, poco diversa. Perché la differenza non consiste tanto nella qualità delle operazioni intellettuali, quanto nella natura delle cose sulle quali tali operazioni ricadono». 164
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