Il piccolo Hans - anno XVII - n. 69 - primavera 1991

Montaigne e la mise en je «Ce ne sont mes gestes que j'escris, c'est moy, c'est mon essence» (Il, 6, 359c)1 • Il programma di scrittura degli Essais è tutto in questa frase, formulazione tardiva di un'intuizione precoce e folgorante. La formula si coagula di fatto al livello postremo della stesura, sull'esemplare di Bordeaux; ma traduce un'illuminazione straordinaria, operante nel libro, si può dire, fin dall'inizio, seppur non ancora così lampante quanto ai modi dell'enunciazione. Parlare di chiarezza, di lucidità eccezionale da parte di Montaigne, è dir poco: non conosco, a questa data, altri esempi comparabili. Nella Francia del Cinquecento un uomo si dà a scrivere, in lingua volgare e in prima persona, non per raccontare le proprie imprese - secondo il modello della memorialistica di tradizione classica -, ma per realizzare un'impresa apparentemente inedita e inaudita: fondare la scrittura di sé, della propria «essence»2 , registrando i vagabondaggi della sua mente: «Je ne puis tenir registre de ma vie par mes actions: fortune les met trop bas; je le tiens par mes fantasies» (III, 9, 922b). Sbarazzandosi in tal modo dei suoi «gestes», in �Itri termini della cronologia, Montaigne si situa nell'acronia del113

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