L'accusa che Bruno muove a Fornari è però soprattutto quella di asservire la pratica analitica ad un'ipotesi razionalizzatrice di eliminazione delle contraddizioni. È così? È pur vero, credo, che la teoria fornariana è caratterizzata da un profondo ottimismo che tende a sottovalutare il conflitto, concependo la contraddizione come «sovrastrutturale». In questo senso si può rilevare un elemento «ideologico» in tale teoria, come se ci fosse una implicazione reciproca tra una sorta di interclassismo socio-economico (Fornari non era certo un marxista, ma questo non può più ormai, coi tempi che corrono, essere considerato un addebito!) e un corrispondente «interclassismo» economico-libidinale o economico-affettivo. Fornari parlava a questo riguardo di «democrazia degli affetti», convinto che la conflittualità tra i diversi codici affettivi potesse essere ricondotta ad una dialettica pacifica e generativa; ma questo suo ottimismo si basava sulla persuasione che tutti gli affetti e tutti i Codici affettivi rientrino iri una logica di vita, perché dalla vita erano e sono nati ed al servizio della vita possono essere ricondotti. Peraltro la sua teoria, e la sua conseguente pratica clinica, non si propone l'eliminazione della contraddizione; al contrario essa vuole promuovere di essa l'emergenza ed il pieno dispiegarsi, in vista di una composizione armoniosa, mai però definitiva e sempre dialettica. In questo vi è certamente una logica di razionalizzazione, non però nei termini di una omologazione totalizzante e di una operazione di ingegneria psicopedagogica. Si pone però a questo punto un problema di ordine clinico. L'analista di Codice, vissuto e attraversato egli stesso dal conflitto tra i Codici, in che misura può esportare nella relazione col paziente il proprio conflitto e la propria ideologia? chi lo garantisce? Ma tale problema, reale e delicatissimo, riguarda in toto la pratica analitica e psicoterapeutica, quale che sia l'orientamento teorico e metodologico del terapeuta. 234
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