ce, si divertiva con essa, traeva piacere dal parlare. Sapevo. che avrei dovuto reagire con la stessa naturalezza con cui avevo reagito a suo tempo alla balbuzie, tuttavia questo cambiamento fu per me come la luce del sole dopo una terribile tempesta, e non potei trattenere le lacrime, con una reazione di cui mi stupii io stessa. In seguito Gabriel rivisse ancora la scena primaria, gridando: «La uccide, le fa male!». Io gli dissi: «Quando un · bambino vede il papà e la mamma a letto in questo modo pensa che stia succedendo qualcosa di terribile. Il fatto è, comunque, che i genitori stanno giocando o facendo l'amore. Il papà e la mamma si vogliono bene, dormono insieme». Non so quanto il bambino riuscisse a capire di tutto questo, forse capiva solo quel tanto che bastava a rassicurarlo: che si trattava di qualcosa di naturale, della cui esistenza io ero informata, che non metteva in pericolo la sua sicurezza. Se il papà e la mamma si volevano bene, tutto era a posto... Il giorno dopo giocò ancora con le bambole: papà e mamma dormirono insieme e poi mise a letto anche tutte le altre bambole. Non entrerò nei dettagli della fase finale della terapia. L'eloquio fluente divenne la norma e Gabriel si adattò bene sia alle grandi sia alle piccole difficoltà della vita. Affiorò anche l'aggressività verso il fratellino. o) PSICODINAMICA DEL CASO. I giochi di Gabrief denunciavano una forte angoscia di castrazione con, sullo sfondo, il senso di colpa collegato alla masturbazione e forse anche ai giochi sessuali con la piccola amica. Il trauma immediatamente precedente la balbuzie potrebbe essere stato un qualche fatto avvenuto durante le vacanze, ad esempio l'osservazione del coito dei genitori. Questa vista avrebbe evocato anche la paura di perdere la mamma, se ricordiamo che Gabriel gridava: «Lui la uccide, le fa male!». A mio parere la situazione di base nell'eziologia della balbuzie è la frustrazione dell'aggrappamento alla madre 219
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