lò con violenza un ago nel sedere di un bambolotto. Gli chiesi se quando lui e Eve giocavano facevano lo stesso. Evitò di rispondermi direttamente e si accinse a misurare la febbre al bambolotto cominciando dagli occhi, poi gli tolse il pene. Io accennai allora al legame tra masturbazione e paura di essere punito. Una volta Gabriel predispose un intero appartamento sul mio tavolo, prese due bambole e mimò la scena primaria, mentre diceva: «Papà fa male alla mamma!», come se mi stesse confidando un grande segreto. A questo punto sembrò imbarazzato come chi ha mostrato di sé più di quanto avrebbe voluto e si mise a giocare con le macchinine. Io mi unii a lui e ben presto si rasserenò come se avesse pensato: «Qui si è al sicuro: si può fare qualsiasi gioco, ma se diventa troppo pericoloso e fa troppa paura si può smettere senza problemi». Mi ricordo di questa seduta come di. una svolta decisiva nella terapia: il bambino ormai aveva espresso tutto nei suoi giochi, si trattava semplicemente di lavorare su quanto era stato portato alla superficie. In questo periodo carico di emozioni e paure la balbuzie peggiorò: lo spasmo era sempre più forte, l'emissione delle parole invariabilmente preceduta da lunghe sofferenze. Io però consideravo tutto questo un buon segno dal punto di vista terapeutico, alla luce del detto: «Prima dell'alba la notte è sempre più scura». Madre e bambino continuavano a venire regolarmente e iniziò quindi la fase della rilavorazione (workingthrough), la cui funzione è di far vivere con agio al bambino la sua convalescenza, facendogli acquisire fiducia e, al sicuro com'è nell'atmosfera terapeutica, permettergli di affrontare più e più volte le sue paure mentre le verbalizza sempre più estesamente. Dopo un paio di sedute lo spasmo parve esaurirsi. Il bambino riuscì a parlare del tutto chiaramente, con una corretta articolazione. Le emozioni coloravano la sua vo218
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==