umani. Che questo vada cancellato (per negazione) lo prova il tema ripetitivo dell'animale parlante nelle favole di tutti i tempi e di tutti i paesi. Se la voce dell'uomo «discende» dal grugnito animale, allora «i banditi restarono muti» e abbandonarono la casa, «che d'ora in poi apparterrà ai nostri animali». L'umanità parlante è sempre in bilico: corre sempre il rischio di venir rimpiazzata dalla sua propria animalità inarticolata. È tempo di tornare alla verticalità composta, maestosa, e silenziosa, della copertina di fig. a pag. 201. Questa è la verticalità accettata dall'Io e mediata dal pensiero scientifico. È l'ascesa dell'uomo: la scimmia che si alza in piedi, l'ominide eretto, e infine, in grande (ecco il tratto infantile, e onirico: quello che è importante viene rappresentato più grande) gli occhi e la fronte di un umano, la bocca appena accennata, sfumata, comunque certamente chiusa. La continuità delle forme è assai più accettabile, l'anatomia comparata, la silenziosa contemplazione di forme simili di ossa, muscoli, cervello, non provoca la lacerazione del grugnito che trapassa nella parola: la parola come discendente di tutta una serie di versi inarticolati è intollerabile forse perché è ancora assai vicina ad essi in senso filogenetico. Studi recenti dimostrano che è stata l'evoluzione della faringe nella specie umana il fatto che ha permesso l'articolazione del linguaggio. Nelle scimmie antropoidi l'anatomia è ostacolo insormontabile rispetto ali'emissione di un numero di suoni diversi sufficiente per supportare un linguaggio simile a quello della specie umana. In un recente, anche se contestato, esperimento, pare che un orango femmina (Koko) abbia imparato ad usare un linguaggio figurato per esprimere concetti complessi come tristezza, amore, e il desiderio di avere un figlio. Nei libri per bambini il tema degli animali, ma sarebbe senz'altro più giusto dire «degli altri animali» (tant'è, è difficile uscire dal codice!), esplode moltiplicandosi al204
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