sia la sua natura è sempre un precedente e un esempio, non soltanto rispetto alle azioni ("sacre" o "profane") dell'uomo, ma anche rispetto alla propria condizione; meglio: il mito è un precedente per i modi del reale in generale» (Trattato di storia delle religioni, Torino, Boringhieri, 1972, p. 431). Il mito in Eliade soccorre il reale offrendosi a questo come un precedente modo oggettivamente vero. Per Kerényi la questione non è in questi termini: il mito non è sostanza o entità oggettiva e manifestata, verità stabilita, metafisica ed extraumana salvezza del reale. Il mito è per Kerényi sempre essenzialmente, progetto umano: è un ideale, non un esempio è un'apertura verso, non un ritorno illo tempore. L'attingere al tempo mitico tramite gli archetipi ha p erciò nei due studiosi valenze e prospettive opposte. 4 L'"essere gettato", connesso a quella che Heidegger chiama la costitutiva deiezione (Verfallenheit) dell'esserci e all'esperienza del Nulla, viene visto da Kerényi in una ottica fortemente negativa, che però ha per conseguenza il proiettare l'uomo in una dimensione progettante, in un orizzonte di possibilità ritrovate, tramite l'insorgenza psichica e immaginativa dell'archetipo. 46 Kerényi-Jung, op. cit., p. 122. 47 Kerényi, Miti e misteri, p. 301. 48 La figura archetipa, paradigmatica che ha per Kerényi il contrassegno esemplare della sua «familiarità con il mondo primordiale» (Kerényi, Il fanciullo divino, in Prolegomeni, cit., p. 51), è il bambino, l'essere nella cosmicità originaria. 49 Jung ad esempio scrive: «Queste forme preesistenti, innate (archetipi) possono produrre negli individui più diversi, idee o combinazioni di idee che sono praticamente identiche e della cui origine nessuna esperienza individuale può essere chiamata responsabile» (La libido. Simboli e trasformazioni, cit., p. 307). 50 Le forme mitiche sono per Kerényi quelle che Durand ha designato come «formes communielles, grands ressorts archétypaux» (Durand, Le décor mythique de la Chartreuse de Parme, Paris, Corti, 1961, p. 9). Kerényi concepisce il fare mitologia come una tipica facoltà del1'essere umano, come «... un ampliamento della coscienza... che renda possibile una visione più intensa degli uomini nella loro concretezza, - e inciti quindi anche un umanesimo più concreto - di quella che possono offrirci la scienza e la filosofia». (Prefazione di Kerényi all'edizione italiana di Kerényi-Jung-Radin, Il briccone divino, Milano, Bompiani, 1965, p. 24). 51 Kerényi, Miti e misteri, cit., p. 301. 52 Ibid. 53 Come metteva in guardia Jung, che aveva posto l'accento sul rischio fondamentale dell'uomo: la caduta nel collettivo, la perdita della responsabilità individuale causata dalla attivazione incontrollata dell'archetipo. (Tesi avvalorata dal formarsi del nazismo, fenomeno a fondo studiato da Jung). 215
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