Il piccolo Hans - anno XVII - n. 65 - primavera 1990

sura in cui egli funziona istintivamente». Lo spirito della psicologia, contenuto in Questa è la mia filosofia, (a cura di Bennet), Milano, Bompiani, 1962, p. 201. 25 «I miei critici hanno sempre erroneamente sostenuto che io presupponga l'esistenza di "rappresentazioni ereditarie", e su questa base hanno liquidato l'archetipo come mera supposizione... Gli archetipi in realtà sono tendenze istintive altrettanto marcate quanto l'impulso degli uccelli a costruire un nido, o quello delle formiche a creare colonie organizzate». C.G. Jung, L'uomo e i suoi simboli, Roma, Casini, 1967. 26 E diremmo la loro ipotesi funzionale: le immagini tipiche che Jung riuscl ad individuare non erano altro che rappresentazioni del1'archetipo. 27 Il simbolo non è inteso da Jung come puro segno alla maniera di Freud: «Il simbolo non è allegoria né segno (seméion), ma l'immagine di un contenuto che per la massima parte trascende la coscienza». La libido. Simboli e trasformazioni, in Opere, cit., p. 87. L'antropologia psicologica di Jung viene così ad avere notevoli convergenze con la filosofia di Cassirer: per entrambi il simbolo è autonoma capacità formativa della psiche umana, non è un modo del linguaggio o del pensiero, e va distinto dal segno. Il simbolo non è destinato a comunicare o a esprimere un concetto o un significato precedentemente costituito, ma è l'essenza stessa di tale costituzione. In un interessantissimo saggio intitolato Mito, scienze religiose e civiltà moderna, E. De Martino scrive: «Lo junghismo appare, in primo luogo, un nuovo apprezzamento del significato e della funzione del simbolo, il quale non è più interpretato, come nel freudismo ortodosso, come una semplice maschera del passato ritornante in modo irriconoscibile e irrisolvibile: ma si configura come un ponte per un verso rivolto al passato che rischia di riemergere nella estraneità e nella servitù del sintomo nevro, tico, e per l'altro verso orientato verso la realizzazione di valori culturali di cui è già il presentimento, la prefigurazione e il dinamico dischiudersi» («Nuovi Ar § omenti», marzo-aprile 1952, pp. 21-22). Quello che l'individuo sperimenta sono immagini, chiamate da Jung «simboli», che non sono traduzioni di un'altra realtà, ma rappresentazioni di una specifica, ma non attingibile, realtà a cui esse si riferiscono. 29 Citato in Jacobi, La psicologia di C.G. Jung, cit. 30 Jacobi, op. cit., p. 63. L'esempio è stato preso da Jung da uno studio di J. Killian, Der Kristall, del 1937, 31 Per uno studio esauriente sul tema si veda J. Lacan, Ecrits e per un taglio più specifico in sede letteraria F. Orlando, Per una teoria freudiana della letteratura, Torino, Einaudi, 1973. 32 Gli archetipi di Animus e Anima vengono ripresi da Bachelard nelle sue opere (si veda in particolare il capitolo II de La poetica della reverie, Bari, Dedalo, 1972). Benché Bachelard faccia perciò uso 213

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