la carta di poesia in poesia. Non è il desiderio del «verso», nutrito della memoria tenace d'esiti consimili presentati da Dante in giù, che spinge Leopardi a introdurre spirto in equilibrio con speme, provvisto dello stesso spessore iniziale, nel nono verso del Coro di morti dell'operetta: Alla SPeme, al desio, l'arido SPirto I [Lena mancar si sente], che, era stato Alla speme, al desio lena ci è tolta (con e senza accento nell'autografo)? Non diverso impulso isofonico ha fatto calare nel Sogno 33 Di quella SPeme che sotterra è SPEnta, e nella Ginestra 5 tuoi ceSPi solitari intorno SPargi; e in Petrarca: SPargendo a terra le sue SPoglie excelse, CCCXVIII 3, e et SPero ch'al por giù di questa SPoglia, CCCXXXIV 12. Nella Commedia il concorso che subito ci torna a mente è stretto: SPiriti SPessi, Jnf IV 66, ma giova conoscere che Dante maschera per così dire il bilanciamento con fini multisonanze, come mostrano questi versi: mena li sPÌRti con la sua RaP/na, Inf V 32; sP/Riti son beati, che giù, PRÌma [che venissero al ciel, fuor di gran voce], Par. XVIII 31; [Come sùbito lampo che discetti] I li sPÌR/tl visivi, sì che PRÌva I [da l'atto l'occhio di più forti obietti], Par. XXX 47. Ma torniamo a orma, ripigliando una correzione petrarchesca già adocchiata da Contini22 • Vediamo perché nel III del Trionfo d'Amore la rinuncia ad altri, già espulso in E senza febbre sì come AURI langue, comporta soprattutto l'immissione di [si] MORE, Come senza languir si more e langue. Ebbene, sembra sufficiente sapere che more è anagrammaticamente chiamato da orme e dorme fra i quali diremmo che irresistibilmente s'insinua; sicché la correzione ha senso anzitutto nel microinsieme morfo-fonematico in cui risuona con tale solidarietà. Ciò non toglie, beninteso, che possa trovare un'ulteriore giustificazione per entro più vasta rete, abilitando a parlare con Contini di «scambi» e «compensi» nel «sistema»: 231
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