Il piccolo Hans - anno XVI - n. 62 - estate 1989

esposto il peregrino Ulisse (e la rima Ulisse: prescrisse torna con altro Tasso nel sonetto foscoliano A Zacinto), parla di tetti e orti simili a quelli mostrati a Ulisse da Nausicaa nell'isola del padre Alcinoo: Misero! a me, dopo naufragi indegni famelico gittato in fredda riva, chi fia che mostri i regi tetti e gli orti, se tu non sei, cui tanti preghi ho porti? [ ... ] Tale è il guadagno ottenuto nel passare da La luna si riposa, e le montagne I Si discopron da lungi a Posa la luna, e di lontan rivela I Serena ogni montagna, che nessuno ne dubita; certo perché, diciamo desanctisianamente, più che descritta la natura vi è sentita: dopo tanti bisillabi (ma l'ultimo, lontàn, dà nell'orecchio col suo accento spostato) i tre anfibrachi, rivEIA, serEnA, montagnA, schiudono «una vista unica che va immediatamente all'anima e move l'immaginazione»8 • Così la «materia disadattissima delle parole e dei versi», come leggiamo nel Discorso, si arrende alle esigenze della «musica» e «armonia» di cui Leopardi scrive, a proposito del coro antico, nello Zibaldone del 21 giugno 1823: «Il suono della sua voce non era quello degl'individui umani: egli era una musica un'armonia». L'ultima redazione pone omometricamente in risalto la consonanza fra tetti e notte: Dolce e chiara è la NOTTE [...] E queta sovra i TETTI [ ...] come poi, sul finire dell'idillio, a fin di verso con s'aspetta 40 e notte 43: un breve sbatter di nottola, frequente nella poesia italiana, dove «notte» non è oscuro come «giorno» né (per rammentare le osservazioni di Mallarmé) chiaro come «nuit» (con scambio delle vocali: notte-petto, notte220

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