E vedesi ogni stella, e ne gioisce Il pastor dentro all'alma. A cui oggi non si fatica a preferire una traduzione come quella, per esempio, della Calzecchi-Onesti, in versi lunghi di varia misura, stretti all'asindeto del disegno originale (evidente fin dal primo appunto in prosa l'inclinazione leopardiana al polisindeto): Come le stelle in cielo intorno alla luna lucente I brillano ardendo, se l'aria è priva di venti, I si scoprono tutte le cime e gli alti promontori I e le valli; nel cielo s'è rotto l'etere immenso, I si vedono tutte le stelle; gioisce in cuore il pastore. Ma ecco il primo fiotto della Sera nella prima stesura a noi nota: Dolce e chiara è la notte e senza vento E queta in mezzo a gli orti e in cima a i tetti La luna si riposa, e le montagne Si discopron da lungi. Se il primo verso, che il secondo felicemente prolunga sciogliendo il nodo ritmico con petrarchesco polisindeto (Or che 'l ciel et la terra e 'l vento tace I et le fere et gli augelli il sonno affrena, CLXIV 1-2), è già modulato con perfezione da cui il poeta si allontanerà solo per tornare ad appagarvisi, il terzo e il quarto verso (primo emistichio) appaiono subito lontani dall'incanto leggero, dalla sospensione d'eterno in cui vivranno dopo il «lavoro del lavoro». All'osservazione del Vossler6 , che la luna, la quale dapprima (in mezzo a gli orti e in cima a i tetti) sembrava salire, con la correzione (sovra i tetti e in mezzo agli orti) cala e si diffonde nel paesaggio, ben obietta il Peruzzi che posa, come si riposa ma più lieve, «non è verbo di movimento, e un carattere di quella calma lunare è proprio la sua immobilità»7. A parte le ragioni che vedremo, non escluderei l'influsso del Tasso: nel sonetto che comincia Giaceva 219
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