sta nel fatto che giorno può significare tanto lo spazio di ventiquattro ore fra una mezzanotte e l'altra quanto il periodo di luce (cioè contrapposto a sera e notte), come per esempio nel Passero 27 Questo GIORNO ch'omai cede alla SERA. Leopardi deve aver sentito una certa incongruenza semantica nella SERA del GIORNO festivo, forse proprio durante l'elaborazione del Passero [...]. È anche indiscutibile che nel titolo definitivo ha rilievo la sera, mentre in quello precedente aveva forse maggior peso il sintagma giorno festivo»5 • A non incoraggiare il disagio servono al Peruzzi antecedenti illustri come i petrarcheschi Di dì in dì vo cangiando il viso e 'l pelo, CXCV 1 (come un toccarsi la faccia allo specchio con la punta delle dita) e Di dì in dì spero amai l'ultima sera, CCXXXVII 7 (che rimena Questi non vide mai l'ultima sera, Purg. I 58), ai quali si possono aggiungere i danteschi poscia di dì in dì l'amò più forte, Par. XI 63, e sì che, se non s'appon di dì in die, Par. XVI 8. Va forse notato che non c'è un intermedio «La sera del dì festivo» legato a dì festivo 31 e 41, dove DÌ è con forza incisiva raddens.ato in !TI! di /STIi in arsi. Nei vv. 30-32 non solo si oppongono mirabilmente i due sintagmi dì festivo e giorno/volgar, ma la reduplicazione di (giorno) festi- . vo accentua la parte di /i/ tonica, che sembra fuggire con la sua luce: , , Ecco � fuggÌtO il DI fesTivO, ed al fesTivO il giorno volgar succede Torna !TI/ in arsi con anTÌchi 34, seguito nello stesso verso da grÌDO così utilmente a fin di verso come fuggÌTO con cui quasi rima. Nell'opposizione il chiuso giorno (sovente aperto nella poesia italiana con chiaro) sembra squarciarsi in volGÀR rilevato dall'enjambement (tronco anche in Petrarca, volgar gente, XCIX 11, nella sede inconsueta di 9a; volgare schiera in Inf II 105). 216
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