le, scatenò gli spiriti malvagi che albergano in noi...». Questo brano di nitore tucidideo esprime il sentimento di perdita. Ma subito dopo «una volta superato il lutto si scoprirà che la nostra alta considerazione dei beni della civiltà non ha sofferto per l'esperienza della loro precarietà. Torneremo a ricostruire tutto ciò che la guerra ha distrutto, forse su un fondamento più solido e duraturo di prima». Questa sarebbe dunque la negazione? Ma proprio questo ci fa pensare ad un punto: questa visione ormai accettata della mania come difesa dalla perdita e dalla melancolia, come rovesciamento di fronte e semplice provvedimento antidepressivo, appare oggi semplicistica, matematica, non corrispondente alle esigenze della clinica sfaccettata e complessa della mania, non congruente coi dati biologici. D'altra parte Ferenczi aveva supposto a proposito della paralisi progressiva (1922) che la mania potesse essere non solo la negazione psicologica alla perdita dell'oggetto, ma la risposta alla perdita e all'impoverimento strutturale delle funzioni dell'Io, a proposito degli aspetti biocostituzionali dell'istinto: forse ciò può essere in accordo con la frequenza di aspetti maniacali nella sclerosi multipla e nei pazienti in dialisi. Non ci rimane quindi che tentare di andare oltre la teoria comoda ma cristallizzata della negazione e cercare di vedere le cose da un punto di vista nuovo. L'euforia che viene emergendo durante l'analisi non è sempre una resistenza al processo, ma si osservano talora diverse resistenze che mirano a difendere quello che chiameremmo progetto euforico: la tensione espansiva è il polo affettivo di una relazione che si fonda sul controllo dell'oggetto a cui ci si vorrebbe abbandonare, al fine di un ricongiungimento che consenta una esperienza estatica duratura. In effetti, quando Lewin (1950) riconduce l'euforia alla triade orale, divorare - essere divorati - dormi204
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