Una teoria della cura che permette la rescissione esiste, è la teoria della Follia e del Falso. In entrambi i casi si tratta di affermare che la «restitutio in integrum» è realizzabile, d'imporre dunque l'impostura. Che suggerimenti si possono innestare nella nostra disciplina provenienti dalla storia e dall'evoluzione della moderna scienza del restauro? Proporrò due concetti essenziali che sono in sintonia con quanto è stato abbozzato in questi appunti. Si tratta dell'opposizione restauro-rifacimento e del concetto di tempo-vita dell'opera. Mi servirò di due brevi citazioni di U. Baldini (1982). La prima: «...oggi è esigenza universale che il restauro non si identifichi con il falso, 'rifacendo' le parti scomparse, ma si limiti a garantire la conservazione delle parti superstiti, assicurandone un'immagine quanto più fedele possibile agli aspetti originari, pur senza annullare o travisare l'inevitabile opera del tempo». E la seconda: «Ma da questo atto di manutenzione non può ovviamente essere scisso, proprio per il recupero dell'immagine corretta dell'oggetto quale si connota a noi con il peso del suo tempo-vita, un oggettivo e ugualmente razionale 'atto terzo' che è atto critico di lettura e pertanto di scelta dell'intervento. Si dovrà cioè giungere alla identificazione dell'immagine dell'oggetto via via espungendo solo quegli atti negativi del tempo-vita assumendo ed esaltando dunque in questo andare verso l'immagine quegli atti del tempo-vita da ritenere positivi per la sua identificazione e connotazione». È consigliabile per fare chiarezza sul parallelo ipotetico tra intervento di restauro e intervento terapeutico che io dichiari subito che non intendo trascurare che in quest'ultimo il chiasma tra il desiderio del paziente e quello dell'analista propone questioni inimmaginabili nel primo. Ho parlato quindi di suggerimenti atti, tra le altre cose, ad ammodernare nella psicoanalisi un concetto di restauro che per molti è sinonimo di maniacale rifaci76
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