Il piccolo Hans - anno XVI - n. 61 - primavera 1989

·nelle parole di Van Gogh prende la coloritura ingenua di un'immagine di Epinal, un presepio o un interno chapliniano dondolante sull'orlo di un abisso, bilancia la culla piena (del figlio di Sien, la modella e amante di Vincent) con la sedia vuota, la vita che vi si agita, «dove ogni cosa si muove, incalza, si agita nella sua attività»20 con la quiete in cui posano gli oggetti (e la stessa modella), il vivo dell'alcova con il morto dell'artista che anticipa la propria scomparsa. Luogo della fobia edificato intorno a una barriera molle, dove è bello stare mentre fuori si agitano fantasmi minacciosi («se solo dovessimo avere a che fare con la gente unicamente all'interno dello studio!»)21, supporta la possibilità di pensare con la sollecitudine tecnica, per le qualità di carta, per strumenti come il telaio da prospettiva che permette di guardare la spiaggia, i campi, i prati «come da una finestra»22 , per straordinari apparecchi capaci di dosare, limitandola, la luce naturale23. Quella stessa luce che dilagando al Sud farà calare il sole stesso, nella sua mole gigantesca, alle e sulle spalle del seminatore giunto al termine della vita. «Voglio che il mio studio sia un vero studio da pittore quando tornerai. Sai che ci furono diversi motivi per cui ho smesso di dipingere a gennaio, ma, infine, lo si può considerare come un guasto di macchina, una vite od una sbarra che non essendo abbastanza robusta ha dovuto venire sostituita da una più forte»24 . Inutile dire che lo studio di Van Gogh, questo studio di Van Gogh non è mai esistito. Chi ebbe modo di visitarlo ne riportò l'impressione di un luogo orrendamente sporco e disordinato. Esso. è in realtà un luogo della memoria, simile ai luoghi celesti dell'arte della memoria secondo Giordano Bruno, in cui le sedie 'ben disposte, sgombrate dal disordinato zodiaco del godimento di Giove, offrono, come la «sbarra abbastanza robusta» a Van Gogh, un an26

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