Colonetti. Ma che sono indipendenti, alcune volte, rispetto al gesto, all'atto creativo? Conti. Mica tanto. Per esempio Goya nella famosa lettera sui restauri che aveva visitato nel 1801 (ed a cui è contrario) parla in maniera positiva dell'ingiallirriento dei colori a causa del quale - dice - neppure l'autore, rinascendo, potrebbe recuperare l'aspetto originale. E questo ingiallimento nelle sue parole si lega al gesto istantaneo, passeggero con cui si dipinge e che non è - neppur esso - riproducibile. Goya, con questo, è erede di tutta una tradizione settecentesca di attenzione ai materiali, diversa da una tradizione di impronta accademica la quale vede la costituzione dell'immagine come il risultato di certe norme, di certe regole e, quindi, acconsente al fatto che chi abbia imparato bene queste norme possa ricostruire l'immagine. Invece l'atteggiamento più da artisti, più creativo, è quello di trovare irriproducibile quello che è, anche nella sua casualità, l'atto con cui si dipinge, il momento in cui si stende il colore; Goya ha una visione che unisce i materiali che si alterano ed il gesto istantaneo e passeggero: qualunque intervento diviene arbitrario, da questo punto di vista. Colonetti. Un intervento che abbia l'ambizione di riportarci le intenzioni dell'artista, è sempre arbitrario, perché l'opera d'arte si fa e si trasforma. Non è mai data una volta per sempre. Conti. Si torna al recupero delle intenzioni. Quindi quali sono davvero le intenzioni? Ora attraverso lo studio fino ad un certo punto si ricostruiscono, però la questione nasce quando si va verso il recupero troppo insistito. D'altronde l'assestamento e l'alterazione dei materiali erano spesso previsti. Lo constatiamo con chiarezza già 138
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