autenticità materica, anche se possedesse questa straordinaria qualità, dopo un certo periodo di tempo, anche poche decine d'anni, il suo concetto di durata, in rapporto alle due valenze che ogni opera d'arte possiede, sarebbe destinato a profondi cambiamenti. Anche l'autenticità, in un certo senso, è sempre nel segno di una parziale inautenticità. Conti. Queste osservazioni mi fanno venire in mente una cosa che desidero sempre di contestare, e cioè che il restauro cerchi di recuperare le intenzioni dell'artista. È una «ricerca» a cui ci si richiama spesso per giustificare le operazioni distruttive che si compiono nella pulitura dei dipinti. Rivela una filosofia del restauro legata ad un idealismo molto ingenuo; nell'Ottocento ha portato alle ricostruzioni e completamenti di cattedrali e castelli gotici, poi, nella prima metà del nostro secolo (quando Viollet-le-Duc era l'obiettivo polemico di ogni sorta di restauratori), eseguendo operazioni ancora peggiori sui quadri: portandoli, con la pulitura, ad uno stato non compatibile con i materiali che li costituiscono. Questo seguendo un'immagine delle intenzioni dell'artista che non ne verificava la coerenza con ciò che un artista poteva realizzare unendo i pigmenti con gli oli, le tempere, le vernici in uso al suo tempo. È questo l'ambito in cui è stato costantemente richiamato il concetto del recupero delle intenzioni dell'artista rispetto ai danni che il tempo avrebbe portato ai suoi dipinti. In realtà le intenzioni dell'artista erano tante e spesso imprevedibili. Scherzando, si può cominciare col notare che un'intenzione era quella di riscuotere una certa quantità di ducati, di fiorini, di goulden etc. a lavoro compiuto; un'altra era quella di costruire un'immagine a cui era· affidato un certo rn,essaggio iconografico, iconico etc. Poi c'erano delle intenzioni finalizzate al luogo in cui l'opera stava: in una certa luce, ad una certa altezza, in un certo 133
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