tura» viene condotta, giustamente, con molte cautele, perché una cosa è provvedere a un museo pubblico, col vincolo (fra gli altri) di prendere a modello quello viennese, e altra cosa provvedere auna collezione privata - dove si è liberi di procedere a qualsiasi «esperimento». La storia della disposizione di quello non può essere considerata coincidente coi riordinamenti di questa. La doppia lettura è tuttavia affascinante e permette di cogliere non pochi frutti. Tra questi, la scoperta delle energie che Spallanzani volle spendere, superando molte resistenze, per inserire un'adeguata raccolta di reperti umani anche nel museo pubblico. Poiché devo insegnare la Storia naturale, spiegò a Pompeo Signorini, «sarebbe cosa turpe se non facessi anche quella dell'uomo». A chi si ispirava il naturalista italiano? A chi, evidente:. mente, aveva voluto che l'uomo fosse, per quanto possibile, anche oggetto di studio, oltre che soggetto di conoscenza. Si trattava di un giocatore di scacchi, che aveva dovuto interrompere la famosa partita (ancora in parità, come sappiamo) per abbandono - o meglio per scomparsa. Gli era stata fatale l'ultima mossa, assolutamente inedita, che aveva determinato lo «spostamento», la metamorfosi più incredibile: Spallanzani prendeva il posto di quel Linneo che un giorno, all'improvviso, aveva smesso di giocare, era piombato sulla scacchiera come una pedina qualsiasi e a nome dell'Uomo, di fronte a un avversario scandalizzato, s'era dichiarato scimmia - solo un poco più complicata, affermava, e a volte neanche più pelosa. Giulio Barsanti 207
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