che consente la costruzione grottesca nel testo letterario, ha una parentela con la genealogia della guerra di Erasmo: in entrambi i casi i grandi scenari mostrano le passioni ostinate e distruttive che alimentano le loro gloriose menzogne. Ma che cosa impedì al Cristianesimo di diventare, nella vita collettiva, la parola della pace? Erasmo vede il Cristianesimo vittima di un disastroso processo di imbastardimento con la cultura mondana, con i testi della sapienza aristotelica, con le scuole filosofiche, le dispute dei dottori, quindi con la filosofia in quanto vano potere dell'intelligenza che allontana dalla semplicità morale della lezione cristiana, e poi la stima generalizzata della ricchezza (ricordiamo l'analogia mercato-guerra), la legge dell'onore che prescrive il non trarsi indietro nelle sfide di coraggio, l'antico diritto romano che «celebra come cosa egregia la guerra purché giusta».. Nel tempo presente sono i famosi «titoli di possesso» che indicano antiche appartenenze territoriali, a offrire una argomentata legittimazione ai propositi di grandezza dei principi. Essi, cui dovrebbe essere affidata l'educazione delle moltitudini, celebrano nella guerra l'enfasi delle proprie passioni. «Una pace iniqua è molto meglio di una guerra»: è una celebre proposizione di Erasmo in cui mi sembra si possa leggere la coincidenza tra il ripristino radicale del Cristianesimo evangelico e la silenziosa estraneità delle moltitudini ai racconti di gloria. «Se siamo fino in fondo cristiani che guerra può nascere tra di noi?» è un'interrogazione che appartiene alla retorica di un'anima che si immagina come potere. 3 - Le riflessioni di Erasmo avvenivano nello spazio universale dell'anima cristiana nella cui educazione evangelica la guerra si estingue come impossibilità. Se costruiamo come cristiani, e se questa è la nostra destina153
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