Il piccolo Hans - anno XIV - n. 56 - inverno 1987

ridurla. La demiurgia astuta («costruzione della mia idea nell'officina della ragione») si fonde con lo stupore in cui si consuma l'atto della scoperta: soggezione a un meccanismo su cui non si può vantare alcuna padronanza, che trae a sé il soggetto quanto più esso si perde nella vegetazione dei discorsi. Il riferimento classico alla fantesca di Molière dà colore idilliaco alla scena, ma prelude - nella dissimmetria della complicità - a uno scenario bellogeno o comunque conflittuale. 2.1. Il primo sussidio gnomico cui Kleist fa ricorso nel saggio è infatti la «folgore» di Mirabeau, il discorso improvvisato con cui egli liquidò il maestro delle cerimonie marchese di Dreux-Brézé, innescando una fase cruciale dell'incipiente rivoluzione francese. Lo scenario è quello di un casus belli, di un Ernstfall, come si dice in tedesco, di un'emergenza che funge da caso scatenante della guerra. Ad un esordio incerto, non convinto e non convincente, viene subentrando un improvviso lampo oratorio che volge a proprio favore una situazione delicata: l'impennata, la ritmica ascendente e concitata dell'atto di parola ne sancisce il carattere di caso dentro una gigantesca e ribollente concatenazione di concause. L'aneddot� è la scintilla che fa esplodere la polveriera. Kleist interpreta questa «straordinaria concordanza tra i fenomeni del mondo fisico e del mondo morale» mediante il filtro analogico del1'elettrologia, paradigma scientifico di notevole fortuna in quell'epoca. L'estrema tensione ed elettricità mentale genera infatti un campo di forza in cui un minimo tropismo è sufficiente a galvanizzare la situazione, a imprimere una svolta energica al discorso e agli eventi. Muovendo da premesse libere, insature, non vincolanti, l'oratore viene così trascinato da un automatismo ineluttabile di cui non è, in certo senso, che lo strumento. Kleist conosceva bene, del resto, questa succedanea inesorabilità, se in una lettera a Wilhelmine von Zenge parlava di una «violenta 133

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