cetti oppure di termini che, nel tentativo di inquadrare la scena delle psicoterapie e, di fatto, sovrastandola, si collegano in una via di mezzo, su di un confine teorico dal quale da un lato emerge una sorta di eclettismo, frutto di un omaggio alla realtà empirica e al fluire della quotidianità, ma che dall'altro confluisce nella impasse vagamente moralistica e sicuramente manichea di ripartire lo spazio «buono» dell'ortodossia da quello «cattivo» dell'eresia; ciò che ne consegue, come l'episodio surriferito mostra, è che facilmente ci si lascia «tentare» dalle migliori «intenzioni», e inevitabilmente si sconfina nel prato del vicino, la cui erba, come è noto a tutti, «è sempre più verde». Quanto a noi e al percorso al quale ci siamo accinti dopo la traduzione del testo di Gyorgy Vikar, documento di lavoro che, dedicato alla psicoterapia focale degli adolescenti, può apparire non privo di una certa «disinvoltura» espositiva ove non si tenesse nel debito conto il substrato teorico a cui rimanda,6 quanto a noi, dicevamo, ci siamo imbattuti, per così dire, nei più recenti sviluppi di quella «sfida» portata alla durata della terapia analitica da Sandor Ferenczi, auspice allora (1918) lo stesso Freud,7 sviluppi condensati e raccolti nel caso del Signor Baker che sta al cuore del testo di M. Balint, P.H. Ornstein, E. Balint, intitolato appunto alla «Psicoterapia focale» della quale il testo stesso enuncia lo statuto teorico8 ; di questa particolare psicoterapia e dello spazio che essa occupa nel quadro storicoteorico dei tentativi atti a ridurre la durata della terapia analitica, ci sentiamo di «condividere» il giudizio espresso da P.H. Ornstein nelle considerazioni finali del libro: «Abbiamo parlato di una linea continua alle estremità della quale si collocano la psicoanalisi e la psicoterapia focale, entrambe relativamente ben definite. Il campo compreso fra questi due estremi è quello, amorfo, della 'terapia psicoanalitica'; anche questa, forse, potrà evolvere in un tipo ben definito di trattamento se ci dedicheremo a studiarla sulla base di quanto abbiamo imparato dall'analisi classica e da quella focale».9 Prima di dedicarci al testo di Vikar desideriamo soffermarci brevemente sul lavoro di M. Balint, per dire subito che quello del Signor Baker è, a nostro avviso, un caso clinico degno per molti versi di diventare un caso «classico», da porre accanto a quelli di Freud, e ciò non tanto per sterile comparazione, quan210
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