tà a Freud. Il libro si apre con un'introduzione costituita da una serie di "parole chiave". Ho pensato che il modo migliore per contribuire a questo numero fosse quello di proporre una di queste "parole". Sulla atopia Qualche anno fa, quando venne tradotto in italiano il saggio freudiano das Unheimliche con il poco convincente «Il pertubante», si era discusso molto sulla possibilità di una traduzione più appropriata. Allora io avevo proposto il termine «spaesante», per dare il senso dell'«un» tedesco, che è privativo rispetto all'«heimliche» (legato alla casa, al luogo proprio). In realtà esiste un termine perfettamente analogo, ed è il termine a-topos, impiegato da Platone per definire la personalità di Socrate. Socrate è atopos perché costringe i suoi interlocutori a uscire dal «topos», dal luogo cintato delle loro abitudini mentali. Robin traduce con «déroutant» (sviante), che è una buona traduzione rispetto a quelle correnti in Italia (strano, bizzarro, ecc.). Ma credo ce ne sia una migliore: de-situante. Credo che Simone Weil pensasse a questo concetto platonico quando ha scritto nei suoi Cahiers che è necessario «essere radicati nell'assenza di luogo» per cogliere «ciò che è la lunghezza, la larghezza, l'altezza, la profondità». Paradossalmente dunque è l'assenza di luogo che ci permette di coglierne la sua verità. È necessario sottrarre al luogo ciò che lo rende tale - ciò che ci permette di essere situati e protetti al suo interno, dentro il sicuro perimetro dei suoi confini-per iniziare una vera avventura conoscitiva. Lo spazio atopico però non è illimitato. Accoglie in sé il limite, che non passa più per il suo bordo esterno, come una linea di difesa, ma al suo interno rendendoci per un tratto stranieri a noi stessi. La verità, teorizzata da Flo206
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