che essa risale agli anni '20, quando operavano critici come A. Tate, R.P. Blackmur e K. Burke. Bisogna d'altronde riconoscere che anche se la scuola neocritica raccoglieva le migliori menti intellettuali dell'epoca, il suo impatto sui curricula accademici restò sempre circoscritto. La scuola neoaristotelica di Chicago e la critica archetipa di N. Frye ebbero un peso ben più determinante nelle scelte culturali e politiche delle università e finirono col causare l'estinguersi del new criticism. René Wellek nel 1978 ha pubblicato su Criticai Inquiry un saggio dal titolo «The New Criticism: Pro and Contra» che vuole essere un giudizio a posteriori della scuola: essenzialmente egli evidenzia l'eterogeneità dei vari critici e difende il loro contributo dall'accusa di mero formalismo che viene dai critici odierni. Se il saggio di W.K. Wimsatt Battering the Object: The Ontologica! Approach (1970) può considerarsi «l'estremo tardo frutto della tradizione new criticai», cui controreagì Geoffrey Hartman col programma to go beyond formalism (cfr. Spedicato 1984:21), bisogna pur riconoscere che l'era testuale, cominciata in Europa negli anni '20-'30 con Jakobson, Hjelmslev e Benveniste, fu inaugurata in America dai «nuovi critici» con circa vent'anni di ritardo. Una menzione particolare merita l'opera di Kenneth Burke, «nuovo critico» atipico che, primo in America, nell'analisi dei testi letterari utilizzò gli apporti della filosofia, della linguistica, della psicoanalisi, del marxismo e del pragmatismo. Oggi, pur con riluttanza, tutte le correnti critiche sono costrette a riconoscere in lui un precursore. Sia Carravetta che Spedicato fanno risalire l'invasione francese, in un primo momento con connotazioni meramente post-strutturaliste, al 1966, anno in cui presso il Johns Hopkins Humanities Center si tenne un convegno su «The Languages of Criticism and the Sciences of Man». Sebbene Jacques Derrida avesse preso parte ai lavori del 224
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