come doloroso era sentire che mio padre dichiarava apertamente di preferire la figlia maggiore». Forse - ragiona Melanie - «non aveva interesse per me in quanto molto invecchiato. Avevo 18 anni quando è morto, ma già da molto tempo si presentava come senile». In mezzo ai ricordi il padre si disegna uomo mite e tollerante, e un'unica volta Melanie rammenta di averne ricevuto uno schiaffo: «[fu] allorché io mi rifiutai di mangiare un qualcosa [...].» Il padre le disse «che ai suoi tempi un bambino non avrebbe mai potuto dire una cosa del genere [...] e io - prosegue l'autrice - avevo risposto che quanto era accaduto un centinaio di anni prima non poteva avere più, al presente, alcun valore. Sapevo che le mie parole erano irriverenti». Nella complessità dello scritto autobiografico, colpisce l'immediatezza dei ricordi, collocati spesso senza spazio, e il loro riattualizzarsi senza la dimensione del tempo. Forse per la prima volta Melanie Klein ci dà l'esempio di un sapere teorico che non schiaccia il sapere della bambina viennese. A 77 anni racconta, credendoci ancora, che la madre, già coniugata Reizes, ebbe una forte simpatia per uno studente che poi morì di turbercolosi. E aggiunse: «Si capiva come mio padre, fino al momento della morte, fosse molto innamorato e geloso di mia madre. Invece non sono sicura dei sentimenti di mia madre nei suoi confronti. Infatti io penso che non lo amasse (anzi!), ho veramente creduto di scoprire talvolta in lei un'avversione per la passione sessuale, che veniva dal suo interno o, forse, dall'educazione che aveva ricevuta>). Melanie si ritrova sposa di Arthur Stephen Klein, un cugino nato in Germania che possedeva il pregio di essere il più intimo amico del fratello Emmanuel. «Ho rifiutato - scrive ripensando al suo matrimonio - le distrazioni che mi venivano offerte e in cui avrei potuto conoscere altri giovani. Ho allontanato il sentimento che provavo confusamente, che mi faceva percepire che noi non eravamo 201
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