to o chiuso, il ritmo di quel sentire ch'è sostanza nella lingua poetica. Nella vocale la voce dell'uomo ripete la sua fratellanza naturale con la voce animale e con il vento. Transitando nello strumento corporale il suono si fa voce: la vocale dice, nell'alfabeto, il sogno di umanizzare la natura, di redimerla dalla sua muta tristezza. Nella vocale, nella sua parentela con il vacare, è pronunciata la destinazione del linguaggio: il tu confidenziale o, appunto, vocativo, l'appello o l'apostrofe, l'evocazione della presenza dell'altro e la cifra dell'ascolto che dà alla lingua la sua ragione. La lingua poetica ha traversato l'intero arco d'una fenomenologia dell'ascolto, fino alla sua negazione, fino al rimbalzo della voce dal vuoto dei significati, fino alla solitudine del grido. La vocale nella lingua poetica ha a che fare col gioco infantile dell'eco, che fa rimbalzare dalla roccia i nomi liberati dai nessi e dai significati. Lo stemma della vocale ha altri sottili rami, della cui trasparenza solo labili figure si possono percepire: vocabolo, vocazione. Il vocabolo, secondo l'uso che del termine ha fatto Mallarmé (poi tornato nell'interrogazione di Jabès) ci rinvia a quella regione del nome nella quale la lingua dice il suo rapporto con l'origine, ed è designazione del legame tra la voce e il nome, oltre ad alludere all'invocazione della parola da parte della cosa. Il vocabolo sta alla parola come la vocale alla lingua: la custodia del nome li unisce. Vocazione è l'altra rispondenza: la vocale è il crocevia d'una chiamata delle cose verso il nome, dei suoni verso la lingua, del poeta verso una nuova nominazione. In cammino verso il linguaggio: il movimento verso il dire, in cui consiste il poetico, si raccoglie, in Holderlin, nell'intestazione di una lirica: Vocazione del poeta. 232
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==