leggiamo in Le Parcours: Penso, ad esempio, alle metamorfosi che il canto della sinagoga fa subire a questa parola. Il cantore invoca Dio, e attraverso le modulazioni ch'egli va traendo da ciascuna delle lettere del Nome divino, muovendo dal pianto verso l'allegrezza, dalla rivolta verso la riconoscenza, noi sentiamo, nel raccoglimento, le nostre parole morire in quella parola che il tacere ha fatto scaturire e che la salmodia ci restituisce. Canto delle vocali risorte, canto che trascina il rovescio sigillato della parola, parola catturata nel suo oltre attraverso il varco del canto interiore: un vissuto, un'alleanza, un infinito che risuonano dentro l'istante stesso che li evoca. Le lettere del Nome sono leggibili solo nel loro perdersi entro questa resurrezione di vocali e nel canto che le dilata. L'interiorità trova un varco in questo canto di vocali che dischiude il segreto delle parole: l'indicibile accede al linguaggio, il tempo della cancellazione di ciò ch'è detto è sospeso. È con questa parola dell'interiorità, affidata alla trasparenza delle vocali, che la lettura del mondo non si rapprende in un senso, ma si consegna al gioco infinito dell'interpretazione. Il sentiero dei nomi Qual è il posto delle vocali in quella Scienza della combinazione delle lettere, in quella tradizione della kabbalà profetica che ha fatto delle lettere l'oggetto d'una mistica meditazione, la «via dei nomi», nella quale si può intravvedere la connessione di tutte le lingue con la lingua sacra e col nome di Dio? E nella tradizione 230
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